fine di una terapia
del rammendo. é tempo, per me
di splendere
20 dicembre 2008
28 novembre 2008
24 novembre 2008
8 novembre 2008
19 ottobre 2008
17 ottobre 2008
3 ottobre 2008
30 settembre 2008
22 settembre 2008
20 settembre 2008
18 settembre 2008
10 settembre 2008
5 settembre 2008
Io non lo credevo difficile
1 settembre 2008
27 agosto 2008
26 agosto 2008
24 agosto 2008
Io do la colpa
alla distanza che fa i discorsi
più incerti, che fa le parole
velate intuizioni.
E al mutismo delle lettere
battute, che fa ogni senso
incerto, e lascia all'equivoco
l'azione, la reazione.
Alla distanza muta, che non
sa schiudere il sigillo dei pensieri,
e l'inquietudine non lesina.
So la semplicità di tutto, ma sono
le cose che bramano il suono,
che chiamano la voce, chiamano
l'amico.
23 agosto 2008
Sai cosa sono le parole che dici? Ora
le dici da un lontano tempo, per me
solo vino sulle labbra fredde da tre anni.
(Come mi scaldavi le braccia d’inverno, con
caldi baci dietro i vetri appannati).
Eri quotidiano amore, e libero mi stringevi
al petto per non farmi andare. Sai cosa sono
le parole che mi dici? Ora le usi a pietre,
ché una nuova solitudine ti culla
nei nostri letti, i nostri passati letti.
(Come mi stringevi all’inizio dell’autunno, prima
che fossimo foglie in diversi venti).
Ma io vorrò solo il bianco oblio, come la neve
del passato dicembre, che all'arrivo silenziava
l'abbandono, ricopriva, raffreddava.
21 agosto 2008
notte di cicale e fresco di luna
piena, questa notte fa del sonno
un tormento
(che cosa si dicono le cicale? io
vorrei tutto capire)
notte di fresca luna e cicalare
fremente, salgo la salita a parlare
ad un guardiano
sempre solo in una notte di follia,
e anche un po' di affanno, un po'
di nostalgia
che fa del sonno un tormento:
ecco di nuovo soltanto le strade
di Trento
20 agosto 2008
18 agosto 2008
17 agosto 2008
15 agosto 2008
14 agosto 2008
12 agosto 2008
venivo alla nulla distanza, per portare
un casto disgelo dell'estate, per scoprirmi
felice a vederti nel sonno, tenere e
indecise voluttà senza titolo, e non volevo
altro che sapere come si può
fare, quando accettare il dolore nella sostanza
è rifugiarsi in immagini sbiadite che si credono
vive, quando abbiamo la paura, come si fa
un desiderio di noi, che non sa (non può)
di viscere? già è dolce peccato.
venivo e non volevo altro che la tenera
mia mano tra i capelli fini, venivo a noi
carico di noi, e noi è stato solo un cauto saluto
alla stazione.
se è solo desiderio, questo nodo freddo, le potenze
sciogliamo, in un abbraccio sporco
di baci
2 agosto 2008
Conosco queste rotte ferrate, più notti
ho dormito le invisibili città, nella notte
veloce, veloci e invisibili. Conosco
del ferro il rumore, quando si getta
nell’aspro mattino di un mare stretto,
al desiderio della luce in cenere tra le pale.
Conosco la terra e le città, la casa, conosco
il mare e il nome delle cose
Questo mare decadente lascia ogni risposta
all’onda, un voto ad ogni pietra, frammento
di spazio che prende e destina alla risacca
del tempo. Io guardavo alla riva questo mare
decadere, con la paura della verità dell’acqua?
26 luglio 2008
25 luglio 2008
Ripercorrerci ai bellissimi
luoghi. La piazza, il fiume,
l'osteria. Le vie, gli angoli,
i cammini. Ripercorrere
le lontane poetiche, i discorsi,
le presenze: la solitudine
delle panchine. Ancora
volgermi alle stelle
bellissime, lasciarmi
innamorare. Riscrivermi,
con le parole solite, Penelope,
tessermi un rammendo.
Ripercorrere i bellissimi
luoghi, capirmi, passarmi
come tempo, nell'eterno
pomeriggio.
24 luglio 2008
22 luglio 2008
non avessi più alfabeti? le parole solo
di altri? né codici a sufficienza, di lettere
combinazioni? se non avessi che la voce?
ancora sarebbe poco? non ho che noi, non ho
che noi, unico suono, e senza strumento, unico
suono della distanza il muto isterismo
di tasti neri sotto bianche dita, e non ho
che noi, da dire
19 luglio 2008
17 luglio 2008
15 luglio 2008
13 luglio 2008
e io mi levo le croste, mi lavo
via le croste, sempre c'è un tempo
di nubi: oggi è ansioso, lo stesso
cielo ingombro ancora. nè forza,
nè voglia ho di levare i peli
dal viso, passano canzoni per me,
il concerto di noi. e io non ho forza,
o parole. quelle poche, sempre quelle.
e allora resta che mi levo le croste.
12 luglio 2008
11 luglio 2008
10 luglio 2008
8 luglio 2008
5 luglio 2008
30 giugno 2008
stavamo dicendo: le nostre parole erano uomini
come a dimenticarne
scoprire all'improvviso gli uomini
del passato: discorsi che vincono
il presente
bieco un sacrificio di felicità, intanto
piove di nuovo
e gli uomini del passato solcano il viso
la mia maschera fra le grate mani,
allora capire, per me
è troppo presto, ancora
troppo presto
29 giugno 2008
28 giugno 2008
incrociandomi su ciottoli romani o anche sul più moderno asfalto
non reggerai lo sguardo della tua creatura, tu
madre dimentica della prole hai fatto patto di vergogna
con il gusto banale del male
tra gli ingranaggi di una vita a ruggine, un giorno
su pubblica piazza già ti vedo, come da tuo stile contornata
delle tue carte e dei sicari, ti guarderanno bruciare
nel centro della fiamma avrai come sempre la noncuranza
di crederlo atto del tuo spettacolo
ma quella volta brucerà, come volevi essere pura
nella miopia così sarai, la cenere di mille
sigarette spente per gioco
ma quella volta brucerà, davvero.
17 giugno 2008
venticinque sono i giorni che ha richiesto questa attesa
senza opinione. questa notte che viene
dopo oggi che niente di meglio ho saputo fare
se non contare le ore, sapendoti più vicino.
venticinque, i giorni che se durassero tutti
un’ora farebbero poco più di un giorno,
dormendone una notte qualunque.
e questa notte è già venuta, dopo oggi
e non saprò fare che aspettare che passi.
non basta a portare quella quiete
che cerco, la coscienza di un ritorno.
questa notte che ispira poesie
come romanzi, lunghe di tante parole,
ché di tanto tempo non si sa fare
tesoro, senza disperderne le ceneri.
venticinque giorni, venticinque
notti a creare, disfare, io
penelope dei discorsi, ho trovato
un’itaca che ho fatto deserto.
ho cerchiato rossi i numeri del calendario,
e carico di fumo l’attesa, e le domande
non sono spesso quelle giuste, negli occhi,
il volto è la risposta.
come se già nell’incertezza ci fosse
la verità sicura del dolore
nella mancanza, nell’assenza.
questa notte che già passa e ti avvicina, raggruma
le paure, creature dei silenzi che ci siamo
imposti a superiore comunione.
venticinque giorni di chilometri
e pioggia, colpevoli solo, questa
notte, di non essere ancora passati.
14 giugno 2008
capisci che è una metafora, amico
se dico che mi hanno scorticato, vivo
è una metafora, e funziona così
che io avevo creato, e rivestito
con la pelle, è metaforico
anche i muri possono essere pelle
capisci che è una metafora, amico
hanno aspettato che mi addormentassi
che mi allontanassi
poi hanno incominciato, squama a squama
o di qualunque cosa sia composto il derma
prendevano e nascondevano in pacchetti
un lavoro di fino, non c’è che dire
non hanno dimenticato un solo centimetro
finché hanno potuto, hanno tolto
poi si sono messi in testa di cambiarla
la tappezzeria
ora capisci la carne viva? ci piove sopra sale
ma un lavoro di fino, concordi
attendo la rigenerazione
la vecchia pelle, invece
invecchia come il ritratto di Gray
ma la soffitta ce l’hanno dentro
dove l’odore è della carcassa
avvinghiata agli intonaci
e non c’è mai acqua abbastanza
per mondare
la pelle cattiva
11 maggio 2008
i conti delle parole non tornano
mai, quanto sono lunghi i discorsi
non lo sapremo, né potenze
né atti, siamo metafisiche di noi
stessi, poetiche senza limite
se non il nostro sguardo a specchio
ma dimmi quanto durerà la corte
e quanti silenzi ancora sfileranno
nella teoria delle nostre solitudini,
fino a quando avremo la forza
delle nostre risate a proteggere
il fragile, che respira nell’intermezzo
dei nostri passi, fra noi e la lunga
strada verso casa, che il tempo gioca
a condensare, lo spazio a dilatare
e noi qui a prendercela con la paura
e la noia dei soli da troppo tempo,
da troppo tempo non condivisi;
e i conti delle nostre parole
non torneranno, non quadreremo
il cerchio su cui ci rincorriamo,
e nessun senso troveremo
per vecchie metafore:
quali vecchi linguaggi dovremo ancora
sfidare, discutere, inventare?
che strano gusto conoscerti
senza le punteggiature, le pause giuste.
uno strano gusto, sul dolce.
12 aprile 2008
Ancora una volta, sull'erba
vergo di nero pagine sorde,
mute di desiderio, ancora
e sempre è l'ebbrezza
di una debolezza che è fuga,
che è resistere nella distanza.
Ancora una volta, sull'erba
sono angelo franco per bibbie
mai tradotte, ancora dicono
tutti della mia lontananza
che è fuga, che è debolezza,
e imparo l'udito del mercante.
Ancora una volta, sul bianco
di pagine mute, vergo l'eterno
ritornello delle solite parole
...
la mia resistenza distante:
camminare
31 marzo 2008
la mia resistenza è accettare il silenzio,
la mia resistenza è uscire senza salutare,
la mia resistenza è cercare gli occhi, allungare l’udito,
la mia resistenza è provare gli odori,
la mia resistenza è oltre i miei confini, oltre le mancanze,
la mia resistenza è sperimentarmi oltre,
la mia resistenza è viaggiare rimanendo fermo,
la mia resistenza è dal lunedì al venerdì,
la mia resistenza è un caffè la domenica, il sabato,
la mia resistenza è un giornale, un libro, il sole
la mia resistenza è nonostante le ferite inferte,
la mia resistenza è un elenco.
la mia resistenza non serve a nulla, come la poesia,
la mia resistenza è una poesia, un racconto,
la mia resistenza è ogni filo di erba informato dei fatti,
la mia resistenza sopravvive a me stesso, per se stessa,
la mia resistenza si dipana di elemosine, di pasti caldi,
la mia resistenza siete voi, siete la rete,
la mia resistenza è la mia rete, le offerte di tempo,
la mia resistenza è scriverne,
la mia resistenza è fuori, solo fuori, viene da fuori.
la mia resistenza non ha trincee, non ha ostaggi,
la mia resistenza non sa formulare propositi,
la mia resistenza non vuole rivoluzioni,
la mia resistenza è nei giochi di parole,
la mia resistenza è come una ricerca,
la mia resistenza è nelle vostre carezze,
la mia resistenza è l’esistenza delle rime,
la mia resistenza è un’ipotesi, una tesi,
una sintesi
di tutte le mie piccole esistenze resistenti.
2 marzo 2008
camminavo da solo
sulla sponda del solito ruscello
sempre uguale scorre
sempre in un senso diverso.
avevo le labbra secche
per il vento tiepido della sera
una sera già notte
un barlume di primavere.
ad ogni passo non sollevavo
che polveri amare metafore dell'animo
dilaniato anche il gelato del conforto
non era dolce ma insapore.
ho solo le labbra più secche.
forse è il vento.
forse.
le bagno di vodka e tonica
fingendo interesse per le storie
del barista del bar dal nome greco
ma almeno offre l'accendino.
"non sei un ingegnere, sei più
svaccato" e infatti non lo sono
ma non ho lasciato i coinquilini
a casa a disfarsi di bong.
sono uscito da solo.
e ho le labbra sempre più secche.
sarà il vento, forse.
8 febbraio 2008
- a.s.m.a. - anime senza il minimo afflato (2)
- figure (6)
- il lavoro dell'acqua (6)
- il nostro romanticismo (30)
- la cattiva storia (5)
- la vita fuori (31)
- scendere a nord (15)
raccolta
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▼
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